Weltraum

              Sy

INTERVISTE in ITALIANO

 

Dopo gli A Spirale, seconda ricognizione del Sud Italia alla ricerca (un po’ tardiva) di musica sperimentale, rumorosa e non allineata. SEC_ è lo pseudonimo di chi nella band sta ai synth e all’elettronica, ma stiamo parlando di un ragazzo che collabora e presenzia in vari dischi di un “giro” che quest’intervista un po’ descrive.

Perché il nome Weltraum?

SEC_: Un nome non ha molta importanza, perde ben presto il suo valore semantico e rimane soltanto un indicatore. Il problema è che Weltraum in tedesco significa spazio, più esattamente spazio siderale, e probabilmente se facessimo un tour in Germania verremmo visti come un gruppo space rock di ispirazione Tangerine Dream…

Io ascolto anche industrial. Voi vi basate molto su un certo tipo di percussioni, inserite in un contesto tipo noise, quindi mi ci avete fatto pensare. Le percussioni sono il perno – o uno dei pilastri - del vostro progetto? Avete voi a vostra volta ascolti industrial?

Beh, direi che di industrial ce ne siamo sorbiti parecchio, ma probabilmente ciò che ha formato di più la nostra sensibilità in questo senso sono le contaminazioni che l’industrial ha avuto con tanto altro. Penso agli Swans di Mike Gira, ai Godflesh, a Caspar Brotzmann, ai Techno Animal e naturalmente ai This Heat, che sono forse i precursori di tutto questo. 
Le percussioni hanno un valore fondamentale nel progetto. Oltre alla batteria usiamo campane, lastre di metallo con piezoelettrico, tubi. Ma la cosa più importante, che costituisce una delle idee di fondo del progetto, è che cerchiamo di usare ogni strumento come una percussione (chitarra ed elettronica compresi) e di conseguenza di lavorare sui timbri piuttosto che su altri elementi come l’armonia, la melodia… Questo, si sa, è esattamente l’approccio di un percussionista.

Visto questo tipo di impostazione, com’è un vostro live?

Difficile rispondere. Molti ci hanno detto che è più coinvolgente del disco. In effetti il nostro live è molto potente. Dal vivo è spesso difficile riuscire a far convivere in maniera ottimale la potenza e la ricerca timbrica, per cui tendiamo a far prevalere il primo aspetto. Per questo, in generale, non cazzeggiamo più di tanto con ferraglie, campane e percussioni di sorta, ma cerchiamo di usare questi oggetti in maniera efficace e mirata. Il fulcro del nostro live rimangono i pezzi.

Documentandomi in rete, torna spesso la presentazione del disco da parte dell’etichetta, che recita “no melody, no meaning”. Vi va di commentare?

Riprendo quello che ho detto prima arricchendolo di presuntuosi slanci filosofici: non ci interessa la melodia, non ci interessa ciò che costituisce il lato “musicale” di uno strumento. Ci interessa piuttosto il timbro, lo scatto, il taglio, perché no, il ritmo. In una parola ci interessa la materia piuttosto che il concetto. Per questo trovi scritto “no meaning”. Il significato è istituito dall’alto, ha in sé la necessità di un rimando ideale, di un rimando a qualcosa di intellettuale, di fondativo, una traduzione o un’interpretazione. Invece la materia non è nient’altro che quello che è, quello che ti tocca o ti ferisce. Sensazione e nient’altro.

Come mai avete sviluppato un progetto di noise puro (Endorgan)? Siamo sempre nell’ambito del motto “no melody no meaning”?

Il motto vale sempre, ma è una cosa personale, una consapevolezza. Non stiamo certo a farci le pippe sul se abbiamo messo troppo significato o troppa melodia in un pezzo! Al di là della speculazione, che in fondo ha valore politico ed è il frutto di un’esperienza di vita e di pratica di ricerca, quando si tratta di suonare si suona e basta. Endorgan è semplicemente un’altra strada, un’altra possibilità di fare musica. E, cosa non da poco, è un progetto più snello e flessibile, che ci permette di suonare più facilmente live perché è in due, senza batteria e più basato sull’improvvisazione.

Pare abbiate collegato anche l’artwork dei vostri dischi a questa vostra impostazione mentale. Chi l’ha pensato così e perché?

L’artwork è realizzato da Pasquale Napolitano, mio fratello ed ex bassista del gruppo. Con lui c’è è un rapporto di collaborazione molto fruttuoso, che deriva senza dubbio da questa “impostazione mentale” condivisa e da un’estetica che abbiamo, in qualche modo, maturato insieme. La grafica è assolutamente astratta e forse non è inappropriato l’aggettivo “noise” per descriverla. Si tratta di disturbi, di disposizioni all’apparenza geometriche ma che si rivelano in realtà caotiche (non viceversa, mai ristabilire l’ordine dietro il caos!), di tagli netti. Tutto questo è davvero vicino alla nostra musica.

Intervistando gli A Spirale, si è parlato di un network di band del centro e sud Italia. C’eravate anche voi. Esistono collaborazioni tra gruppi? C’ è un terreno comune?

Gli A Spirale sono di sicuro il gruppo che ha dato una scossa reale alla musica in Campania. E questo perché il loro lavoro non si limita al proporre musica nuova e praticamente inascoltata prima da queste parti: è piuttosto un lavoro totale, dove fare musica significa immediatamente collaborare con altre persone, mettere in circolo energie dalle fonti più eterogenee, invitare musicisti da tutto il mondo per accrescere lo scambio (e in qualche modo la confusione…). Sì, con gli A Spirale c’è una strettissima collaborazione, io suono con Mario e Maurizio e il nostro progetto si chiama Aspec(t). In più collaboro con loro e con altre persone all’organizzazione del festival ALTERA! che è alla terza edizione e del Pestival, che è la programmazione mensile di musica sperimentale a Napoli. E come se non bastasse io e Mario abitiamo anche nella stessa casa!

Al di fuori di questo cerchio italiano, chi sentite vicino al vostro modo di intendere la musica? Potendo decidere senza limiti di sorta, con chi vi fareste un tour a suonare in giro per il mondo?

Sightings, Moha!, Bark, ma anche Lasse Marhaug, Rudolf Eb.er, a suo modo Merzbow, e tanti altri. Credo che, con un po’ di impegno, non sarebbe impossibile organizzare un tour con ciascuno di loro.

La musica in rete. Visto come distribuite il vostro disco, farvi dire due cose sull’argomento mi pare giusto.

Il nostro disco è scaricabile in rete dal sito della netlabel Second Family Records. Approvo la musica in rete senza condizioni. È la realizzazione e la dimostrazione che la proprietà intellettuale è un stupidaggine, che la musica deve arrivare ovunque per creare in ogni posto qualche miscuglio strano e a suo modo mostruoso. Questo significa per me “creare”. Il problema ovviamente è quello di riuscire a fare soldi. Un musicista dovrebbe essere messo in condizione di guadagnare qualche soldo con i suoi concerti, se non altro per riuscire a continuare a suonare in giro, ma il nostro sistema abbandona veramente i musicisti a se stessi e alle loro difficoltà. Bisogna senza dubbio alimentare il circuito dei piccoli concerti, indipendenti, anche casalinghi, cercare di coinvolgere più persone e dal basso, far girare i soldi e instaurare un circolo virtuoso. Non la vedo una cosa semplice…

Il più classico dei “cosa bolle in pentola” finale…

Speriamo di riuscire a organizzare un lungo tour europeo per la fine dell’anno o l’inizio del prossimo. Anche andare in Giappone o a Hong Kong ci piacerebbe. È in programma anche uno split in 7” con i Ne Travaillez Jamais, altro gruppo di Napoli straconsigliato. Dopodiché, se non ci avranno ancora ammazzato, inizieremo a lavorare al nuovo disco.
A cura di: Fabrizio Garau

Data intervista: aprile 2010

http://www.audiodrome.it/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=6116

 

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SOLAR IPSE #3 (aka XEROX MILITIA)

Dal patrio stivale un gruppo coeso e coerente come pochi sentiti in questi anni di peregrinazioni. Un fiume pieno di anse che rimanda ai singhiozzi agonici Dna e al manifesto “No New York”, opera di quel demiurgo culturale alla Warhol di Brian Eno (ad oggi uno dei tentativi più riusciti di “ground zero” in musica).

Una costante, vistosa forzatura delle texture, sotto la patria potestà del cut up materico ad libitum, e al contempo l’impressione di un gioco libero da ogni contraffazione. Grumi secchi di cosmesi tribal-percussiva. Contorni logori. Fenditure inattese. Sgocciolii di gamelan che tessono il bozzolo fino ad autocancellarsi in macilenti clangori splatter… Sette brani/movimenti/frecce che puntano in un’unica direzione: la vendetta livellatrice del rumore organizzato. Così contagiosi e freschi da far impallidire gran parte dei gruppi della Load. Very cool!!! Ps: il disco, oltre al formato cd-r, è disponibile in free download dal sito Second Family Records. Stupido non approfittarne. Loris

 

Raccontateci le esperienze pre-Weltraum e il primo periodo di vita del gruppo.

I primi Weltraum erano in cinque, in pratica la stessa formazione dei Visione Sinfonica. Il primo disco dei weltraum è "Tram/Trauma" (2006, Lona Records, Hong Kong), che ha rappresentato il punto di arrivo e di maturazione del progetto Visione Sinfonica. E' un buon lavoro, misto di shoegaze, post-rock e schemi liberi, un disco intenso da ascoltare d'un fiato, di solo due tracce. I Weltraum del post "Traum/Trauma" hanno subito un periodo di stasi, in cui si è suonato poco per diverse ragioni,tra cui lo studio univeristario. La ripresa fu segnata dal cambio della sala prove, in cui ci eravamo stabilizzati per oltre 3 anni, e dall'abbandono di uno dei componenti,il bassista. Tutto questo era sintomo di un cambiamento che si stava generando, sia personale, che materiale, che di approccio alla musica e agli strumenti. La durata di questa metamorfosi è stata agonizzante come ogni cambiamento significativo; si produceva, non mancava la creatività ma la convinzione in quello che si faceva. L'equilibrio perfetto si è trovato solo col trio attuale. Ci sono stati dei mesi intensi di sperimentazione e produzione, di registrazioni e di sovraregistrazioni; si sono studiate le sovrapposizioni di tempi e ritmi, gli intrecci di chitarra e synth, lo sviluppo di suoni e aggeggi vari per far suonare gli oggetti metallici. A tutto questo si è unita una più profonda consapevolezza nella ricerca sonora e timbrica, unita a una sorta di svincolamento da ascolti ed eredità paralizzanti (ad esempio l'accademia). Per quest'ultimo aspetto siamo senza dubbio grati agli amici A Spirale, la cui frequentazione ci ha fatto capire che le possibilità scaturiscono dai limiti.

 

Qual è l’età media dei componenti?

In tre facciamo 70 anni. in pratica 23anni in media.

 

Ascoltando “sy” si ha come l’impressione di trovarsi davanti a un’estensione dell’attività live…

In "Sy" nulla è lasciato al caso ma tutto è studiato e misurato. Diciamo che i live sono un'estensione del lavoro di registrazione e realizzazione dei pezzi. Allo stesso tempo, però, i pezzi, per quanto studiati, hanno in se stessi una dimensione live, perchè noi siamo un gruppo che FA i pezzi SUONANDO. La differenza tra il live e il disco sta principalmente nel lavoro di mixaggio, che tenta di conciliare nel migliore dei modi violenza sonora e ricerca timbrica. I nostri live sono per scelta molto potenti e talvolta, quando le condizioni acustiche ed ambientali non sono le più adatte, ciò che per forza di cose viene sacrificato è proprio l'aspetto della timbrica.

 

Che target di pubblico pensate possa essere maggiormente ricettivo per la musica che andate proponendo?

Non c'è un target, l'importante è non essere inquadrato in schemi musicali e lasciarsi sopraffare dall'intensità sonora, senza oppore resistenza. Noi stessi abbiamo suonato nelle situazioni più eterogenee e Napoli, da questo punto di vista è una buona scuola: non sai mai chi verrà al tuo concerto e con quale tipo di accoglienza. Talvolta si arriva anche allo scontro e questo è estremamente fruttuoso. Come tu stesso hai notato la nostra musica si nutre dello scontro, e sarebbe puro autocompiacimento suonare solo per chi sa a cosa va incontro. Tutto questo mette in crisi le strategie sociologiche di sorta.

 

Please, una panoramica della strumentazione usata…

In "Sy" c'è molto ferro: barre metalliche con piezoelettrico, granitiera, lattine, campane di diverso diametro, ferraglia in genere. La chitarra è spesso preparata con inserimenti di molle e altri oggetti tra le corde. La batteria ha due timpani. L'elettronica è un ibrido di analogico e digitale: il sintetizzatore è spesso processato attraverso il computer, e l'uso "suonato" di campioni e manipolazioni dà al tutto un'impronta molto noise e materica. 

 

Il disco è uscito per la vostra personale etichetta, la Toxo. Come mai? Non c’era nessuno disposto a stamparvelo?

Il problema non è stampare il disco, che sia la Toxo o un'altra qualsiasi poco importa. La cosa fondamentale a mio parere è la credibilità e la considerazione che un gruppo riesce a conquistare con i live, il disco o le recensioni. Ed è bellissimo vedere durante i live persone che apprezzano quello che fai o che acquistano il disco semplicemente perchè è piaciuto il packaging; e tutto ciò è ancora più bello perchè è un lavoro che è stato fatto interamente da te, dalla musica alla scelta della carta in stamperia, ai contatti per la distribuzione e per i concerti.

 

Se vi dico “terrorismo sonico”, quali gruppi associate a questa espressione?

Ultimamente il nostro amico e spalla "thesmartlemon" ci ha associato ai Sightings, meravigliandosi che nessun recensore avesse ancora colto la vicinanza. Ecco, loro sono un ottimo esempio. Quello che oggi viene definito "noise", è probabilmente qualcosa di simile al "terrorismo", non solo da un punto di vista musicale, ma perchè si esprime in pratiche di produzione ed organizzazione alternative, antagoniste e minoritarie. A ottobre il nostro "Pestival" ha ospitato Dave Philips, che ha fatto un live azionista assolutamente estremo e sublime: suoni di una violenza inaudita, prodotti semplicemente con palloncini, oggetti piezati sbattuti a terra e versi orripilanti fatti con la voce, il tutto davanti ad un video cruento sulla produzione industriale della carne: un vero attentato ai comuni sensi (del pudore)!

 

Vi piacerebbe far parte del plotone d’esecuzione incaricato di mandar a morte la musica rock?

Se per musica rock intendi quel fenomeno socio-politico in cui supergruppi capitanati da front-man radunano migliaia di persone per addomesticarli a un capitalismo mascherato da ribellione, beh senz'altro vorremmo farne parte. In qualche modo vorremmo illuderci di farne già parte adesso, insieme a tanta gente con cui collaboriamo quotidianamente. Ma la strategia non deve in alcun modo configurare una guerra faccia a faccia. Noi non diamo la caccia ai nemici, ci muoviamo nelle tenebre...

 

A cura di Loris Zecchin

Data intervista: Aprile 2010